Sepolti dagli scarti del caffè Il mercato vola con le capsule che dovranno diventare ecologiche - Corriere.it

2023-01-05 18:52:02 By : Mr. Hunter Huang

Sono circa 10 miliardi quelle vendute ogni anno nel mondo, che generano 120 mila tonnellate di rifiuti. I volumi di vendita crescono in Italia del 20%. Dopo il divieto ad usare le capsule negli uffici di Amburgo, resta aperto il nodo dello smaltimento: una soluzione arriva dal nostro Paese

Addio alla «tazzulella» della tradizione napoletana. A guidare oggi il consumo di caffè in casa, per anni monopolio della moka, e negli uffici pubblici e luoghi di lavoro sono le capsule. Secondo i dati di Life Pla4coffee — il progetto europeo che mira alla sostituzione delle vecchie cialde da caffè (attualmente in Pe, Pet o alluminio) con un nuovo modello compostabile — sono circa 10 miliardi quelle vendute ogni anno nel mondo, che generano 120mila tonnellate di rifiuti, di cui 70mila nella sola Europa. In Italia su circa 1 miliardo di capsule vendute all’anno (includendo le vendite online e quelle nei negozi specializzati), a finire in discariche e inceneritori è l’equivalente 12mila tonnellate. Un numero enorme se rapportato alle 10mila tonnellate della Tour Eiffel. Molto inferiore, comunque, alle 800mila di pannolini, anch’essi da buttare nella raccolta indifferenziata.

E in attesa che si affermi la produzione di capsule ecologiche biodegradabili c’è chi, come l’amministrazione civica di Amburgo, ha varato una drastica normativa: vietando dall’oggi al domani l’uso delle attuali capsule per caffè negli uffici pubblici della città tedesca. Insieme al caffè in capsule Amburgo ha bandito le bottiglie e tutti i contenitori di plastica, a partire da fine gennaio. I divieti sono contenuti nella «Guida per l’approvvigionamento verde», un documento di 150 pagine dove sono indicati ai cittadini gli standard ambientali da adottare anche negli acquisti: gli utenti sono invitati a verificare se nell’acquistare un bene o un servizio può essere limitato l’impatto sull’ambiente.

Secondo Nielsen , nel 2015 le vendite di caffè nella grande distribuzione sono calate del 2,9%, e i consumi sono in discesa da almeno 4 anni. Fanno eccezione le vendite di caffè porzionato (le monodosi e le compatibili) che hanno registrato un aumento del 21,4% sul 2014. Un boom verificatosi a dispetto della grande differenza di prezzo tra i 47,12 euro al chilogrammo delle capsule e gli 8,16 euro del caffè in confezioni tradizionali. Una rivoluzione che anche l’Istat ha iniziato a considerare, inserendo nel 2014 le capsule all’interno del paniere dei beni di consumo. Come spiegare questo fenomeno negli anni della crisi? Le chiavi del successo sono la praticità della capsula, il gusto del caffè molto più simile a quello dei bar, e anche il fatto che la capsula è percepita come un prodotto più esclusivo, tale da giustificare la differenza di prezzo.

Nel commercio mondiale, il caffè è ai primi posti come valore e pesa sul volume d’affari come il petrolio e l’acciaio. L’economia di molti Paesi dipende interamente dalle esportazioni di questo autentico «oro verde» che dà lavoro a 25 milioni di persone, per lo più in aziende a conduzione familiare.  

Se ogni anno si consumano circa 7 milioni di tonnellate, sono notevoli le differenze per aree geografiche: il consumo pro capite è di 4,20 chilogrammi negli Usa e di 5,20 chilogrammi nell’area Ue, dove si passa dal massimo di 11,4 chilogrammi della Finlandia al minimo di 2,4 del Portogallo, con l’Italia che oscilla tra il decimo e il dodicesimo posto con 5,9 chilogrammi a persona. Nel nostro Paese il consumo della bevanda nera, infatti, è legato quasi esclusivamente al risveglio e al dopo pasto, mentre in altri paesi e soprattutto nel nord Europa il suo consumo è una consuetudine lungo l’intera giornata, anche come bevanda durante i pasti.

Il boom del porzionato è già definito negli Usa «il cambiamento più dirompente degli ultimi 30 anni» nel mercato del caffè. Nel nostro Paese il numero di famiglie che usa questo prodotto è quasi raddoppiato dal 2011 al 2014, passando da 1,5 a 2,6 milioni (circa l’11% delle famiglie italiane). I livelli di penetrazione più alti (16%) si registrano nelle famiglie under 35, nelle coppie senza figli e nei single, che hanno probabilmente una maggior capacità di spesa e danno maggior valore alla comodità offerta da questi sistemi. Se il caffè macinato ha ancora nel supermercato il suo principale canale distributivo, le capsule hanno portato una seconda novità: l’e-commerce sta diventando un canale sempre più importante, e anche colossi come Amazon o piccoli rivenditori locali si sono inseriti nella vendita dei prodotti monoporzionati.

In Italia per circa un trentennio il mercato è stato dominato (anche nella pubblicità) da Nespresso, l’inventore del sistema, ma a partire dal 2010 molte aziende hanno lanciato un attacco. L’impatto di questi nuovi arrivati è stato ridotto al minimo da Nestlé che ha cercato di rendere la sua macchina incompatibile con capsule di altre marche e ha minacciato di difendere legalmente i suoi brevetti. Salvo essere poi richiamata — anche per vie legali — a «facilitare» l’apertura nel settore. 

Nulla si crea, nulla si distrugge. Le capsule, una volta utilizzate, vanno buttate e il loro mix di alluminio, plastica e umido non ne rende così semplice lo smaltimento. Per risolvere il problema non basta infatti pensare di riconsegnarle vuote nei centri di raccolta dei negozi, armarsi di pazienza separando i diversi componenti o anche, in alcuni casi, darsi al riciclo creativo per creare bigiotteria, orecchini, ciondoli e fermagli.

  Ogni marchio sta cercando di risolvere il problema con una propria strategia. E in alcune città, sull’esempio di Amburgo, già si pensa di correre ai ripari vietandone l’uso negli uffici (sfiora l’icona blu per vedere la notizia nella rassegna stampa ). Ad aprile 2015, anche in vista di Expo Milano, Lavazza e Novamont hanno presentato la capsula compostabile al 100%, che arriverà presto nei negozi (nella foto sotto, Ansa ). Realizzata in Mater-Bi, la bio-plastica con la più alta percentuale di rinnovabilità, ha richiesto 5 anni di ricerca per offrire una resistenza a una pressione di 8 atmosfere e a una temperatura di 90 gradi. L’obiettivo è quello di rivoluzionare la fase di fine vita del prodotto. Applicando il principio dello zero waste dell’economia circolare, la capsula compostabile può essere raccolta con il rifiuto umido e avviata al compostaggio industriale, arrivando a produrre inchiostro, fibre di tessuti per il controllo degli odori, e persino funghi commestibili.  

Da parte sua, Nespresso già da 20 anni ha iniziato un programma di riciclaggio in Svizzera che permette di coprire il 99% della clientela, con 2.600 punti di raccolta capsule e il programma Recycling at Home. All’acquisto è possibile ricevere a casa una borsa dove raccogliere le capsule e riconsegnarle alla successiva ordinazione. Tornando ai marchi italiani, Illy ha nella sua mission l’attenzione all’ambiente: all’interno di molti esercizi sono state posizionate delle reverse vending machine nelle quali i clienti possono gettare le capsule esauste e i barattoli, che poi vengono raccolti e smaltiti. Inoltre l’azienda sta sperimentando diversi modelli di macchine in grado di triturare le capsule per separare la plastica dal caffè. Vergnano, da parte sua, utilizza delle capsule FAP, a basso impatto ambientale, in quanto realizzate con un materiale plastico che degrada in qualsiasi condizione di smaltimento.

Una soluzione alternativa arriva invece dalla Svizzera: la pluripremiata capsula in acciaio inox, realizzata nel 2012 dal designer Erwin Meier. Questa capsula innovativa, riempibile a mano e utilizzabile indefinitamente al posto delle cialde monouso, è composta di due parti separabili in grado di sopportare la pressione di 18 atmosfere sviluppata dalle caffettiere. I vantaggi — oltre al costo — sono anche legati all’aspetto ecologico, dato che si riduce drasticamente il problema dell’inquinamento legato alla produzione e allo smaltimento delle cialde e delle capsule. Sulla stessa strada viaggia l’idea di Eason Chow, un 25enne originario di Singapore, che ha pensato di sostituire l’involucro solitamente realizzato in plastica con un rivestimento di zucchero. Il risultato del progetto «Droops» (nella foto sotto, Ansa ) — ancora in fase iniziale — è una cialda per un buon caffè che non produce sprechi, né rifiuti di alcun tipo. Secondo il suo ideatore, «il rivestimento ha differenti spessori ed aromi per soddisfare ogni gusto».

Il tema appassiona e mette in moto diversi approcci. La Commissione Europea sta cercando di promuoverne il riciclo e ha già chiesto di considerare la capsula vuota del caffè alla stregua degli altri imballaggi (sfiora l’icona blu per leggere il testo della Direttiva 2013/2/Ue della Commissione, 7 febbraio 2013). A fine gennaio 2016 è stato annunciato che sarà un team tutto italiano a produrre capsule di caffè compostabili, con il programma europeo Life Pla4coffee . Il progetto riguarda l’uso dell’acido polilattico come sostituto degli attuali PE, PET e allumino. Della squadra, capitanata da un’impresa bolognese di imballaggi, fanno parte l’Università di Tor Vergata, un’azienda chimica vicentina e il Centro regionale di competenza nuove tecnologie per le attività produttive con sede a Napoli. L’obiettivo è di arrivare entro il 2018 ad un prototipo dimostrativo valido, da usare anche per altri prodotti. «La capsula è un prodotto banale all’apparenza ma che deve avere caratteristiche molto specifiche perché è un packaging rigido a contatto con alimenti, deve resistere ad alte temperature, deve avere un design gradevole, costi accettabili e possibilmente essere compostabile», spiega Mario Maggiani, direttore generale di Assocomaplast, associazione nazionale dei costruttori di macchine e stampi per materie plastiche e gomma. Un tema strategico per il futuro di molte imprese.

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